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Uno scritto a caso

"PREGHIERA D'AMORE"
[poesia] biografico
Carlo Salvadorini
16.03.2008

Storie di Vally Sabbà  IV capitolo

La mimosa

La mimosa

Dino, il figlio di Teresa,, era stato un mio alunno, all'inizio della mia carriera d'insegnante tra i banchi delle Elementari.
Mi fu assegnata una prima, e quel giorno, circondata da mamme, nonne, zie, mi limitavo a sorridere. Le pagine del lungo discorso di accoglienza, scritte nella mia testa, durante l'intera notte, si erano fermate in gola e, se vi fossero uscite , di certo, sarebbero state inadeguate, poco rassicuranti.
Ero talmente emozionata!
"Coraggio! Se hai bisogno, a tua disposizione! Stefania Del Giudice", si presentò un'anziana collega, con una pacca alla spalla, mentre impartiva comandi alla fila della sua Quinta.
"Grazie, Susanna Di Liso" , anch'io mi presentai, ma solo quando i bidelli riuscirono ad allontanare parenti ed affini, in classe con gli alunni, mi sentii al sicuro.
"Hai paura? E' il tuo primo giorno di Scuola e non sai cosa ti aspetta? Sai tenere i segreti? Ebbene, te ne confido uno: anche per me è il primo giorno di scuola; non so cosa mi aspetta e ho una paura tremenda. Tu, però, hai la fortuna di poter piangere. Anche a me vien da piangere ma non posso, sono la maestra! Che ne dici, se ti siedi vicino alla cattedra per un po', così ci facciamo coraggio?", esordii, rivolgendomi ad un bellissimo angelo biondo, con i lucciconi agli occhi.
Era Dino, il figlio di Teresa.
Rimasi nella Scuola dell'obbligo giusto il tempo di terminare il Ciclo, e quello fu uno sei periodi più belli della mia vita d'insegnante, giacché ebbi modo di "crescere" insieme ai miei alunni, e senza perdere la necessaria autorevolezza mi sentivo molto vicina e presente anche nelle loro più intime esperienze, per carpire i moti della loro anima.
Fu per questo che il fanciullo dal grande fiocco azzurro, sempre lindo e profumato, catturò la mia attenzione.
Dino non si comportava come gli altri maschietti, irruenti, talvolta prepotenti durante il gioco.
Preferiva starsene con le femminucce, nei gruppi di attività più tranquille. La sua passione era la pittura, tanto da acquisire una particolare tecnica nel dipingere mimose. L'effetto era straordinario: parevano piccoli rami veri poggiati sui tratteggi del





cartoncino azzurro.
Alcuni compagni, i soliti piccoli bulli, lo chiamavano "la mimosa", e lui non se ne dispiaceva, perché non riusciva a tradurre l'insolenza. Solo nell'ultimo anno lo vidi corrucciato, pensieroso, spesso con lo sguardo assente. Io mi limitavo ad osservarlo, in attesa che fosse lui ad aprirsi alle confidenze.
"Maestra, perché?...", un giorno, all'angolo della strada, mi affrontò.
"Spiegati, Nico, a quale dei tuoi perché vuoi che risponda?", accarezzandogli i dorati capelli, chiesi.
Era arrivato il momento di parlare.
"Perché i compagni mi prendono in giro e perché io non riesco a difendermi dalle loro cattiverie? Mi sento strano, maestra. Non sto bene con nessuno, neppure con le compagne, che invece sono gentili con me. La loro vicinanza m'infastidisce. Sai spiegarmi perché?"
Era disperato; mi chiedeva aiuto, e come il primo giorno di scuola anch'io avevo bisogno d'aiuto. Mi sentivo inadeguata, ignorante, in grado di offrirgli affetto e comprensione, niente di più.
"Ne hai parlato con tua madre?", mi parve ovvia la domanda.
"No, con mia madre no! fa' finta ch'io non ti abbia detto nulla!", rispose, allontanandosi in fretta. Pareva inseguito dai suoi fantasmi.
Avrei dovuto fermarlo, convincerlo, placarlo, invece, rimasi ferma, incapace di qualsiasi gesto, qualsiasi parola, con in bocca l'amaro della sconfitta.
Perché non mi ero tenuta sul vago, rimandando la conversazione ad un altro momento? Avrei chiesto consiglio a Stefania, come avevo fatto altre volte.
Arrivata alle soglie della pensione, dopo tanta esperienza Stefania, maestra stimata da colleghi, dirigenti e genitori, amata dagli alunni per la sua grande umanità, avrebbe trovato le parole giuste al momento giusto.
Dopo gli esami di Quinta, riconsegnai Dino alla madre, ben preparato ad affrontare un altro importante ciclo di studi, non del tutto preparato ad affrontare un altro importante ciclo di vita, mentre io mi lasciavo alle spalle i miei sensi di colpa, addebitando alla famiglia l'incapacità al dialogo.
Rividi Dino alla Marina. Era diventato un bellissimo ragazzo biondo, dagli occhi azzurri più del cielo, ma dallo sguardo triste, trasognato.
"Ciao, maestra!", mi salutò rasentando la mia sdraio, senza fermarsi. Era contento di vedermi, non insieme alla madre.
"Ciao, Dino!", anch'io lo salutai come non ci fossimo mai persi...
Mi ero tuffata per un bagno ristoratore, come a scrollarmi di dosso tutte le pene del mondo, quando mi si avvicinò.
"Maestra, ho bisogno di parlarti. Hai un momento per me? Solo tu puoi spiegarmi il perché delle cose e chi sono io veramente. Odio tutte le donne per la loro superficialità.".
Pareva che il discorso di tanti anni addietro non si fosse mai interrotto.
"Ed io, allora?"
"Tu sei diversa, come me."
E al mio stupore:
"Scusami, mi sono espresso male. Intendevo dire che tu non sei una donna qualsiasi, ma intelligente, sensibile, comprensiva, così diversa da mia madre! L'ho sentita, sai, quando ti parlava dei suoi taralli! Sembra che non sappia fare altro! Mi scuso anche per lei!"
Niente domande, questa volta gli dovevo, ma risposte sicure, esaurienti, senza sfuggire al problema, che non era solo il suo e della sua famiglia, ma dell'intera società.
"Se intendi trovare te stesso e sapere chi sei tu veramente, devi prima sforzarti di perdonare chi non capisce, perché non è in grado di capire.. soprattutto tua madre che, vedendoti infelice, sta patendo le pene dell'inferno.
Purtroppo, tutto ciò che è al di fuori degli schemi comuni, dei canoni dalle radici secolari, è difficile da sconfiggere, perché fa paura.
Prima, anch'io avevo paura. Ma un giorno, in vacanza in un altro mare, ebbi la fortuna di conoscere un giovane straordinario, bello e gentile come te. Era l'animatore del Villaggio e tutti facevano a gara per accaparrarsi la sua amicizia.
Aveva superato le sue incertezze, le sue paure; sapeva farsi voler bene e per tutti si sarebbe gettato nel fuoco.
Quella creatura mi entrò subito nel cuore, per il suo coraggio, la discrezione, la naturalezza nel mostrarsi quel che lui era, non quello che altri volevano che fosse.
Quanto ti dico è accaduto molti anni fa. Ora le cose sono cambiate. C'è più rispetto per chi è differente da noi, purché ognuno di noi sappia chi vuol essere per davvero.
Ragazzo mio, la vita è come un fiume che scorre verso il mare; basta capire quale delle sue sponde sia giusta per ciascuno di noi. Percorrerle entrambe non è impossibile, ma scomodo e faticoso.
Pensaci, Dino. Soltanto quando riuscirai a fare chiarezza nel profondo della tua anima, saprai darti le risposte che vorresti da me, e ti sentirai in pace con te stesso e con tua madre. Ti svelerò un segreto: invidio tua madre per quante cose sa fare più di me, compresi i taralli, che sono buonissimi!"
Poi, mi girai per tornare a riva, lasciando Dino solo nel mare, affinché su di esso la sua immagine si specchiasse, delineandosi.
Un'altra estate volgeva al termine e le vacanze alla Marina erano finite. Stavo sistemando ogni cosa prima della partenza, quando un ragazzo si affacciò al cancello.
" E' per lei", mi disse consegnandomi un cesto.
Nel cesto c'erano i taralli di Teresa, accompagnati da un foglio tratteggiato di azzurro, su cui risaltava un ramo di mimosa. Nessuna parola, solo la fragranza dei taralli e il profumo del fiore, in un unico sapore, quello dell'amore.
I borsoni potevano attendere; con il cesto sulle ginocchia e il biglietto in mano, mi sedetti sul dondolo, per sgranocchiare un tarallo.
Mi sentivo soddisfatta: ero riuscita a placare due anime in pena, dimostrandomi all'altezza dell'indimenticabile Stefania, la mia confidente, la mia maestra di vita, che ora, come non mai, riaffiorava dai miei più cari ricordi.

(continua)


Vally Sabbà pubblicato il 23.03.2010 [Testo]


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